Lo Sportivo trevigiano dell’Anno: Gianni De Biasi

Sono loro i volti degli Sportivi trevigiani dell’anno. Ma per le due ragazze della scherma c’è una coccola speciale. Entrando in redazione, tradiscono timidezza. Cercano di ambientarsi in un contesto inusuale. Eleonora De Marchi ed Elisabetta Bianchin devono confrontarsi con giornalisti e calciofili. Mister Gianni De Biasi veste i panni del cronista e chiede informazioni sul percorso di studi. «Frequento il terzo anno del liceo linguistico Giorgione a Castelfranco», racconta De Marchi, «Da inizio anno, ho perso 40 giorni di scuola. Il preside Ceccon capisce, a scuola vado bene». Bianchin: «Pure da me sono comprensivi… Sono al quarto anno dello scientifico Da Vinci. Ho saltato 46 giorni e vado benino. Sono già tanti e non possiamo più ammalarci». Risata generale. Un’introduzione che permette alle schermitrici di sentirsi parte di un incontro che vuole celebrare il loro magico momento. De Marchi si è rivelata nel 2014, vincendo il titolo mondiale Under 17 e l’argento ai Giochi Giovanili di Nanchino. Quest’anno ha infilato medaglie iridate ed europee al pari di Bianchin, sua compagna alla Scherma Treviso. Sono il futuro azzurro. Ma rimangono con i piedi ben piantati per terra. Eleonora è punzecchiata sul suo rapporto con il calcio. E anche una banale considerazione può mettere in rilievo le peculiarità del carattere: «Mi avevano chiesto di fare parte della squadra di calcetto. Solitamente giocavo attaccante. Non saprei fare altro, perché l’indole mi spinge ad attaccare. Anche nella scherma, sebbene nel mio sport dovrei pure parare».
Si dichiara milanista e sembra interessata, quando viene citato Cristiano Ronaldo: «Ma preferisco Messi», risponde all’unisono con Eli. Il suo idolo non viene dalla scherma: «Mi piace il nuotatore Phelps. Per la semplicità: ha vinto tanto, ma non è un montato».
Bianchin ha invece fede juventina e riserva qualche amichevole sfottò all’amica. A entrambe brillano però gli occhi, quando sentono che De Biasi ha allenato assi come Roberto Baggio e Totò Di Natale. Dimostrano di essere attente, seguono i vari temi come fossero a scuola.
Ma una campionessa come viene accolta dai compagni? «Mi hanno fatto molte feste a sorpresa. Ho amici in classe e nella scherma. Tendo a separare le due vite. Ma anche alla Scherma Treviso siamo una scuola. C’è davvero un bel clima». Il segreto degli exploit di spada e fioretto nella Marca? «Più atleti fanno bene e i risultati sono stimolo per tutti».
Lo sport la porta a conoscere culture e modi diversi. Deve spesso vedersela con squadroni come Stati Uniti e Russia che hanno un bacino nemmeno paragonabile all’Italia: «Mai fatto caso alle differenze di abitanti… A me piace viaggiare e la scherma mi dà una grande possibilità». Bianchin incalza: «Altri modi di pensare, ti confronti». In occasione del mondiale, hanno scoperto l’Uzbekistan: «Vedi posti che non ti sogneresti mai di visitare. A volte le gare danno poco tempo, ma a Tashkent ho tirato nella prima e ultima sessione: non mi sono lasciata sfuggire l’occasione».
Sui morosetti nicchiano («Troppo presto»), ma sul futuro hanno le idee chiare: «Abbiamo i sogni di qualsiasi sportivo. Le Olimpiadi, magari Tokyo 2020… Intanto ho già fatto i Giochi Giovanili», ricorda Eleonora, che presto vedrà immortalato sulla torta l’argento di Nanchino. La moviola irrompe pure in ambito schermistico. Bianchin, che l’ha vissuta con l’Italia nella finale iridata, ne sa qualcosa: «Attimi di ansia che passano». La testa è fondamentale in pedana: «Rispetto ad altre discipline, lavoriamo più su tecnica e concentrazione. La preparazione fisica non è al primo posto», rimarcano. E come si gestisce il pre-gara? «Ho un sacco di braccialetti», spiega Ele, anticipando l’amica. Che è più chiara: «Sono scaramantica. Riti e accorgimenti che non posso svelare. Ecco, magari indosso gli stessi calzini o mutande». E l’altra: «Io tiro invece con la stessa maglietta».
La chiacchierata finisce qui, ci sono le qualificazioni per gli Assoluti e i Tricolori di Treviso da preparare. Speranze? «Non diciamo niente», chiosa il loro presidente Andrea Sirena. La scaramanzia è d’obbligo.

TREVISO
Gianni De Biasi, ex giocatore, ex mister di club, ora ct dell’Albania, è un simpatico zio per le due schermitrici: le mette a loro agio improvvisandosi intervistatore. Poi è il suo turno.
Lei che ha allenato Baggio e Di Natale, ce li può definire?
«Sono diversi. Di Natale è il compendio della qualità abbinata alla dedizione; non ha un grande fisico ma è uno che si allena come fanno solo i grandi professionisti. Roberto è… Il Calcio. Se non avesse avuto i guai alle ginocchia, sarebbe stato eterno. È di una semplicità disarmante, non se la tira e non ha mai considerato il calcio un lavoro, ma un gioco. Imprevedibile anche in allenamento, un piacere starlo a guardare. Baggio e Del Piero? Avrei voluto allenarli entrambi, ma non ce l’ho fatta. Di classe, ma di due epoche diverse».
Lei se n’è andato, lasciandoci il calcio italiano di club. Non si divertiva più?
«Non riuscivo a fare il tecnico come piace a me. Troppe componenti estranee, spinte che con il calcio c’entrano poco. La classe del singolo non basta più, se attorno al giocatore c’è una macchina che gli toglie il margine di divertimento e di fame. Ci sono giocatori che hanno meno apparato, meno tecnica, ma sopperiscono con volontà, combattività e carattere».
Il disastro Milan?
«Vedo tanti singoli, ognuno per conto proprio. Finché ci sono stati i “veci”, come Costacurta, Maldini, Ringhio, prendevano i ragazzi e dicevano: se vuoi stare con noi le cose si fanno così. Poi è saltato il tappo e Inzaghi è poco rodato per gestire un gruppo che tale non è ancora diventato».
Gli arbitri e le tecnologie che potrebbero sostituirli?
«Me ne sono preoccupato poco quando facevo il tecnico di club, ma da quando faccio il ct di una nazionale non me ne occupo per niente. Non mi va di contestare il fischietto e se un mio giocatore lo fa con insistenza deleteria, poi facciamo i conti. Considero gli arbitri italiani i migliori del mondo e Rizzoli, con la direzione di finali mondiali, ne è una prova. Ancor più bravi gli assistenti, chiamati a gestire situazioni non comuni, con l’obbligo di vedere tutto ciò che succede loro attorno. Noi li conosciamo solo per i piccoli episodi contestati, ma sono quasi infallibili. Credo che gli assistenti di porta bastino, non sono per una direzione di gara tecnologica, anche se la gold line technology che determina se il pallone è entrato in porta o no è la benvenuta. Il rugby, il volley? Sono situazioni diverse. L’una circoscritta a una casistica ristretta, l’altra, il rugby, con tempi morti che consentono “consulti” tecnologici».
Com’è stare tanto lontano da casa?
«Tanto? Ma io vado in Albania una volta al mese. Per il resto vedo tante partite: gli otto decimi della squadra giocano in campionati stranieri. Insomma, ho una qualità di vita notevole e non mi pento di nulla».
E allora avrà seguito lo sport trevigiano. Che ne pensa del fenomeno basket. E della stagione del volley?
«L’Imoco ha patito lo scotto di una partenza felice, con tanto di finale scudetto. Sono congiunture che aiutano poco a crescere, si finisce col credere di avere la verità in tasca e poi il caso ti si rivolta contro e non sei pronto. Avere le cinque giocatrici più forti non significa vincere lo scudetto. Il basket invece è un fenomeno a parte, Vazzoler e compagni hanno riacceso una passione. Per fare operazioni del genere ci vogliono persone di spessore, che sanno gestire team e pubblico. Paolo Vazzoler è uno così».
Avete fatto ricorso al Tas per quella partita con la Serbia…
«Quella situazione andava risolta molto prima del momento del drone. Forse non bisognava nemmeno arrivarci a una partita del genere: si sapeva già come sarebbe andata a finire. Se ho avuto paura? Sì, come potrei dire il contrario? Ma in campo non è successo niente, anzi i giocatori serbi sono stati molto corretti e collaborativi. Kolarov mi ha addirittura accompagnato all’uscita del campo. Certo, se ci ridanno i punti…». (a.f.)

A cura di Sandro Bolognini

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