La mia strada

Dopo aver chiuso la carriera da giocatore nel Bassano nel campionato nazionale dilettanti, il presidente Sorio mi fece la proposta di allenare e diventare il responsabile del settore giovanile della società.

La cosa sul momento mi colse di sorpresa,  perché da un lato non ci si rende conto che il tempo passa e una proposta del genere ti riporta alla realtà, e dall’altra capisci che la vita continua e tu ci devi dare dentro.

Comincia, quindi, nell’estate del 90 la mia carriera di allenatore con la squadra allievi regionali del Bassano del Grappa.

Vincemmo il nostro girone con un cammino strepitoso, vincemmo il titolo di campione regionale veneto, e andammo alle finali nazionali dove perdemmo in semifinale una partita incredibile.

Mentre ero a Tabiano, sede delle finali, mi arriva la chiamata del direttore generale del Vicenza Calcio, Sergio Gasparin, che mi invita per un colloquio a Vicenza.
Estate 91 assumo la guida degli allievi nazionali del Vicenza e ricomincio a lavorare di nuovo nel calcio professionistico dopo due anni nei dilettanti (uno da giocatore e uno da allenatore).

Nel corso dell’anno partecipo al corso di seconda categoria a Coverciano e ottengo il patentino di seconda categoria.

Nell’estate 92 mi arriva la chiamata della Vastese, campionato C2 girone “B”, società a me sconosciuta. Il presidente del club, però, è un pescarese e mi conosce in quanto alcuni anni prima avevo militato nel Pescara in Serie A.
Nonostante lo scetticismo dell’ambiente e di qualche dirigente nostalgico (poco disponibili nei confronti dei giovani allenatori), riusciamo ad arrivare al sesto posto con un girone di ritorno veramente bello.

Alla fine del campionato a Vasto non ci sono i presupposti per migliorare il gruppo e quindi accetto l’offerta del Carpi che milita in C1 ma che sta per retrocedere (93).
Comincio il ritiro precampionato con il Carpi in C2 e verso fine luglio veniamo ripescati in C1 per la scomparsa di alcune società che avevano problemi economici. Rimango nella società carpigiana per tre stagioni fino all’estate 1996. Con molta fatica riusciamo a raggiungere i nostri obiettivi, che erano quelli di evitare i play-out e valorizzare qualche giovane vedi: Lanna, Pivotto, Pantanelli, Beghetto etc.

Riesco a partecipare al corso master a Coverciano dove ottengo il massimo dei voti con lode. Con me in quel corso ci sono tra gli altri: Novellino, Malesani, Sella, Arcoleo, De Canio, D’Astoli.
Vengo contattato dal Cosenza, squadra di Serie B, che mi propone un programma ridotto rispetto all’anno precedente, ma poiché in passato altri colleghi avevano avuto un ottimo trampolino di lancio in quella piazza, accetto sperando che si possa lavorare bene.
A dicembre conosco il mio primo esonero, siamo alla vigilia di natale, con una telefonata il presidente Pagliuso mi comunica la decisione della società.
Vivo con dolore l’esonero, perchè lo ritenevo e lo ritengo tuttora ingiusto e senza senso, visto che la squadra è fuori dalla zona retrocessione.
Dopo dodici partite vengo richiamato, trovo una squadra all’ultimo posto e fino alla fine lottiamo per non retrocedere ma grazie a un gol al 94° a Padova conosciamo una amara retrocessione.

Giugno 1997 mi chiama Roberto Ranzani e mi propone di lavorare con lui alla Spal che e’ appena retrocessa in C2.
Sono molto perplesso anche se la società mi piace perché trasuda di storia ed i tifosi sono molto legati ai colori biancazzurri.
Vinciamo il campionato dopo un duro testa a testa con il Rimini e la piazza si entusiasma e ritorna numerosa al vecchio Paolo Mazza.

L’anno seguente (1998) accuso molti problemi dovuti ad incidenti e infortuni. Dopo un avvio brillante la squadra si arena nel girone di ritorno, arriviamo al settimo posto, siamo in linea con i programmi, vinciamo la Coppa Italia, ma il rapporto con il presidente si incrina al punto che a fine stagione mi esonera pur avendo ancora un anno di contratto con la Spal.

Dopo l’estate (1999) comincio un giro di aggiornamento che mi porta in Olanda a seguire l’Ajax.

Quando sto per andare a Barcellona per seguire Van Gaal, mi chiama Doriano Tosi all’epoca direttore generale del Modena, e mi chiede di andare a lavorare a Modena.

Il primo periodo di studio mi consente di fare alcune osservazioni e di capire come fosse possibile che una squadra ricca di nomi si trovasse al penultimo posto della classifica.
A fine campionato ci salviamo con una giornata d’anticipo, chiudendo in modo poco bello un campionato anonimo.

A metà maggio (2000) rinnovo il contratto con il Modena e pianifichiamo una squadra ex novo: rimangono solo cinque giocatori, mentre arrivano ben diciassette nuovi arrivi.

2000/2001 vinciamo il campionato con 74 punti partendo in testa e arrivando in testa senza mai lasciare il primo posto.
2001/2002 partiamo per il campionato di serie B con timore di non essere all’altezza della categoria. Nonostante tutti i pronostici contrari, vinciamo il campionato con tre settimane di anticipo, tra lo stupore generale.
2002/2003 Affrontiamo il campionato di serie A con coraggio e convinzione sebbene molti ci diano già spacciati in partenza. Ed invece: vinciamo a Roma per 2-1 in una serata indimenticabile, battiamo il Parma, il Bologna nel derby e la Reggina in inferiorità numerica. Terminiamo dodicesimi con 38 punti e gli applausi della critica.

Ma a questo punto prendo una decisione difficilissima. Dopo tre stagioni di successi in un ambiente da cui ho ricevuto moltissimo, inizio a rendermi conto che il mio ciclo, seppur stupendo, è finito. Lascio con la morte nel cuore, allontanandomi da amici e compagni di lavoro che hanno caratterizzato tre anni di passione, sofferenza ed esaltazione. Lascio, però, senza dimenticare.

2003/2004 Accetto la proposta di Gino Corioni e stipulo un contratto triennale per il Brescia, allettato dal poter lavorare in una città che conosco e con un campione della levatura di Roberto Baggio. Il rapporto col fantasista è ottimo, basato sulla stima reciproca. Riscontro in lui  una semplicità inaspettata e contestualmente trovo la massima disponibilità a livello professionale, nella quotidianità del campo. La squadra gira bene, alla fine otteniamo l’undicesimo piazzamento con l’ultima di campionato giocata a San Siro contro il Milan in uno stadio ebbro di gioia per lo scudetto dei rossoneri e l’addio al calcio di Roberto.

2004/2005 Le esigenze della società sono quelle di fare cassa e puntare sui giovani. Oltre a Baggio, ritiratosi dal mondo del calcio, partono pedine importanti come Mauri, Dainelli, Brighi, Colucci e Matuzalem. Il campionato è difficile, la squadra fatica a conquistare punti sebbene le ottime prestazioni a Udine, a Genova contro la Samp e a Reggio Calabria. Fermiamo sullo 0-0 anche il Milan campione d’Italia. Ma la sconfitta in casa con l’Udinese spinge Corioni ad esonerarmi. La decisione del presidente del Brescia con il quale nel frattempo avevo costruito un rapporto umanamente intenso è come una doccia fredda, il tradimento di una persona cara, e  mi coglie completamente spiazzato. Il Brescia, quell’anno, consegue una retrocessione amara e ancora oggi sono convinto che, se solo mi avessero dato fiducia, sarei riuscito a conquistare la salvezza.

Estate 2005. Sono in vacanza con la mia famiglia in attesa di una proposta che mi convinca. Alcuni mesi prima il mio nome era stato accostato all’Udinese  ma all’ultimo momento, con mia grande delusione, non se n’è fatto nulla.
Il 15 di Agosto, improvvisamente, vengo contattato da Urbano Cairo, un imprenditore alessandrino che è intenzionato a comprare il Toro. Di lui mi colpiscono il carisma, la positività e l’entusiasmo  nel voler costruire dal nulla una squadra che col tempo potrebbe trasformarsi in vincente.
Il suo progetto mi rapisce. Il pensiero di allenare una squadra da zero, vergine da pendenze e giochi di potere mi riempie di stimoli e voglia di fare bene, specie in una piazza storica, calda e passionale, trasudante  leggenda e mito come Torino.

Passano due settimane, forse le più lunghe della storia granata. Alla fine il 2 Settembre ho la conferma: Cairo ha acquistato il Toro ed io ne sono l’allenatore. Da quel momento inizia una vera e propria corsa contro il tempo. La società usufruisce di una finestra di mercato speciale, lunga sette giorni, nei quali si tenta di allestire la formazione più competitiva possibile per la serie cadetta sebbene non ci sia stato nemmeno il tempo di una preparazione adeguata.

L’obiettivo iniziale è quello di un campionato di tranquillità, all’insegna della stabilizzazione.
Invece, derogando da tutti i pronostici, a metà stagione ci troviamo terzi, in piena lotta per la promozione. La squadra, nella sessione del mercato invernale, viene rinforzata di ben sei unità anche se i comprensibili problemi di amalgama e lo scotto di una condizione fisica tutt’altro che ottimale vengono pagati a caro prezzo nelle prime gare del girone di ritorno. Ma, nelle ultime dieci partite, invertiamo il trend, inanellando nove vittorie di cui sei consecutive, terminando ancora al terzo posto e guadagnandoci l’accesso ai play-off.

La notte di Torino-Mantova è un ricordo che rimarrà indelebile nella mia mente: la partita è perfetta, aggrediamo gli avversari (che ci avevano battuto all’andata per 2-4) fin dai primi minuti con ferocia e determinatezza. Vogliamo la serie A e ce la prendiamo. Finisce 3-1 dopo una sofferenza finale indicibile. Al triplice fischio conclusivo di Farina  c’è spazio solo per l’esultanza, in uno stadio strepitoso e pulsante di sessantamila cuori e anime granata. L’emozione è indescrivibile, unica.

L’ultimo anno appartiene alla storia recente. L’esonero a tre giorni dall’inizio del campionato ed il mio ritorno in panchina a fine Febbraio. Per riprendere da dove si era interrotto. Per continuare a metterci tutto l’entusiasmo e la voglia di vincere per il bene del Toro, un mondo diverso, una filosofia a parte, nella quale i  valori autentici (tenacia, sopravvivenza, orgoglio, passione, grinta e fierezza) si uniscono all’insegna di una medesima fede: quella granata.

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