Euro 2016: Gianni De Biasi, l’eroe d’Albania

Come Claudio Ranieri al Leicester, il ct della nazionale albanese è riuscito in un’impresa storica. Ecco come l’allenatore ha portato a Euro 2016 una delle sue più improbabili «Cenerentole»

Non si era parlato molto in Italia di Gianni De Biasi da Sarmede (Treviso) fino a quando, prima della nomina di Ventura, il suo nome è entrato nella rosa dei successori a Conte sulla panchina azzurra.  In Albania invece è un eroe, popolarissimo e osannato per aver portato per la prima volta la Nazionale, che allena dal 2011, agli Europei. Un’impresa che gli è valsa la cittadinanza onoraria e una laurea honoris causa per meriti sportivi e sociali. Il suo successo, come quella del suo amico ed ex compagno di squadra nel Palermo Claudio Ranieri, non è solo un evento sportivo storico, ma la vittoria di Davide su Golia, dei piccoli sui grandi.

Ranieri e De Biasi sono «gli allenatori che fecero l’impresa». Quindi più che cavalieri, visto che il calcio è l’unico credo che appassiona tutto il mondo e che la conquista di una coppa di campionato appare più concreta dell’eterna ricerca di quella del Graal. Loro sono l’ennesima conferma che il Made in Italy ha sempre successo.

Eppure, di soddisfazioni come allenatore De Biasi ne aveva già avute, e non da poco: al Modena, per esempio, con due promozioni consecutive, con il Torino, con il Brescia. Ma a differenza di altri, il mister ha sempre mantenuto un low profile: vive tranquillo a Conegliano, sua terra d’origine, con la moglie Paola e la figlia Chiara, e nel tempo libero ama andare in bicicletta.

Come calciatore era un mediano: ruolo di sacrificio, tanta fatica e poca gloria, ma molta grinta e determinazione. Del Brescia, dove ha giocato con il numero 4  dal 1978 al 1983, era anche il capitano: un ruolo definito non solo dalla fascia, ma dal suo carisma. Capitan De Biasi, spirito libero e mercuriale, fermo ma garbato, affabulatore sorridente e sornione, era amato da tutti, dirigenti, compagni, tifosi, ragazze.

Ma come un acquerello che scolorisce, la vita ha le sue discese: il rischio di retrocessione dalla B alla C in un anno in cui il Brescia puntava alla promozione, la cessione al Palermo (squadra che poi fallirà), gli ultimi anni a Vicenza e a Treviso, dove la sua carriera era incominciata da ragazzino.

Non certo un indimenticabile addio al calcio alla Roberto Baggio, di cui era l’allenatore a Brescia quando il campione giocò la sua ultima partita, ma il lento inizio della sua seconda vita, dove il suo valore è emerso in un’altra veste ma con lo stesso spirito, sempre pronto a lottare per raggiungere la vetta: «C’è chi in cima alla montagna ci arriva scalando, chi in elicottero: ma c’è poco gusto senza la fatica della conquista», dice De Biasi, che potrebbe identificarsi in una frase di Herman Hesse, tra i suoi autori preferiti: «destino e carattere sono due nomi del medesimo concetto».
In Albania stravedono per lei. Che effetto fa?
«Per gli albanesi, popolo molto patriottico, sono un simbolo. A volte mi trattano come un guaritore, mi trovo circondato da gente che pensa che con il mio tocco potrebbe guarire… (sorride). La nostra vittoria, la qualificazione agli Europei, significa che nel calcio, come nella vita, se hai degli obiettivi e ti impegni riesci a fare l’impensabile».

Lei come c’è riuscito?
«Con una grande motivazione ma anche una certa irrazionalità: penso che sia la stata la scelta più bella della mia vita, ma allora era un salto nel vuoto. Venivo da un’esperienza poco positiva con l’Udinese, e sono tornato a fare l’allenatore come piace me: libero. Ho voluto carta bianca: è stata la prima clausola. Sono andato avanti per la mia strada senza ascoltare gli altri. Ognuno ha la sua visione del calcio e tutti cercano di dare consigli… la domanda più diffusa è:  “Ma come fai a lasciar fuori quello che è il più forte?”, senza considerare che magari un’altro, pur se meno brillante, è più compatibile con i compagni. Non si tratta del gioco di un singolo, ma di una squadra».

Quando è arrivato com’era la situazione della squadra?
Andava riorganizzata. I calciatori albanesi più dotati giocano all’estero: ho fatto scouting tra Italia, Turchia, Germania e soprattutto Svizzera. Lì alcuni giocatori hanno la doppia nazionalità: c’è chi ha scelto di giocare con noi, chi con la Svizzera, che incontreremo l’11 giugno. D’altronde è il Paese dove vivono molti rifugiati della guerra del Kosovo e molti kosovari sono albanesi, anche se la Serbia non la pensa proprio così. È una disputa ancora aperta, come abbiamo visto di recente (durante la qualificazione agli Europei tra Serbia a Albania la partita venne interrotta quando sullo stadio iniziò ad aggirarsi un drone che trasportava la bandiera della Grande Albania, ndr).
Nonostante le diverse esperienze da cui vengono, però, i ragazzi formano una squadra unita. Non abbiamo una stella, la nostra punta è il capitano Lorik Cana, leader per età ed esperienza».

Quindi non ha un campione?
«Non è facile trovarne, e spesso i grandi giocatori li fanno i media: molti vengono spacciati per tali ma non lo sono, di grande hanno solo l’ingaggio e la vita che fanno».

Tra i veri talenti, mi fa qualche nome?
«In passato, Roberto Baggio, uno dei più grandi: viveva con assoluto distacco la popolarità che il calcio gli aveva dato. Oggi Gigi Buffon: il portiere “eterno”, campione di talento e serietà. Fondamentale: senza, non si fanno 20 anni di carriera a quel livello».

Come vi siete preparati agli Europei?
«Gli allenamenti sono pochi, ma ho scelto con cura i luoghi più strategici per il ritiro pre-gara, in Austria e in Francia: giocheremo a Lens, Marsiglia e Lione, località non proprio vicine tra loro. Avrei voluto imparare il francese per le interviste, ma non ho fatto in tempo».

La sentiremo parlare «alla Trapattoni», stile «No say the cat is in the sac» ?
«No, preferisco evitare, anche se quella frase è entrata nella storia (ride, ndr)».

Come vede il vostro girone?
«Abbiamo la Francia, la favorita. Svizzera e Romania le metto sullo stesso gradino. In quanto a noi, ci piace stupire, rovesciare i pronostici».

Chi potrebbe vincere gli Europei?
«La Francia, o la Germania, molto solida, o il Belgio, che ha alcuni dei migliori giocatori del momento».

E l’Italia?
«Come pronostici non è certo tra le prime, ma la Nazionale sa dare il meglio quando parte sotto tono, come in Germania nel 2006. E poi con l’esperienza di Conte e una difesa solida potrebbe piazzarsi bene».

È possibile che l’Albania affronti l’Italia? «Difficile, ma cerchiamo di passare il primo turno, poi vediamo. In fondo tutto è possibile no?».

di Anna Mazzotti per Vanity Fair