Il professor De Biasi «io, L’albania e l’impossibile»

Ora che ha portato l’Albania all’Europeo 2016 la curiosità non è soltanto sul futuro prossimo (che cosa farà in Francia?) ma anche su quello anteriore: a Gianni De Biasi verrà intitolato il nuovo stadio di Tirana ? che prima o poi verrà ricostruito ? oppure una via, una piazza, un palazzetto … Perché la festa di popolo scatenata domenica e continuata ieri ha incoronato il tecnico italiano come il protagonista di un sogno che l’Albania non aveva mai neppure accarezzato e che proprio lui ha evocato. Al di là dei meriti tecnici, è questo quello che ha conquistato la gente, primo ministro in testa. Edi Rama era ai piedi dell’ aereo che ha riportato la nazionale a Tirana da Yerevan, ha voluto essere il primo ad abbracciare De Biasi, al quale a marzo ha concesso la cittadinanza e ieri ha consegnato una medaglia: «So che ora ti vorranno in tanti, gente e club con più soldi e storia. Ma noi non ti molliamo: lo abbiamo imparato da te. Ti ringraziamo per aver dato alla Nazione questo enorme piacere e ti ringrazio personalmente per aver dato l’ esempio prezioso di perseguire il sogno quando tutti sono pronti a mollarlo».

MOTIVATORE Il premier, ex cestista e amante dello sport, ha individuato il punto di forza del tecnico. Il dialogo, la capacità di motivare ogni giocatore e di coinvolgere lo staff. Di dare orgoglio a una Nazione intera. Per questo qualche settimana fa gli hanno anche consegnato una laurea honoris causa in Scienze Sociali. E ieri mentre l’Albania lo festeggiava, per il professore arrivavano complimenti da ogni dove. La Serie A ha twittato i suoi, poi il re dei tecnici italiani ? Marcello Lippi, c.t. campione del mondo nel 2006 ? lo ha lodato: «De Biasi ha fatto un’impresa straordinaria, che nessuno credeva possibile. Non c’è nulla da fare, gli allenatori italiani hanno qualcosa in più rispetto agli altri».

Festeggiano anche a Vasto, Carpi, Cosenza, Ferrara, Modena, Brescia, Torino? E in Spagna…

«Sento davvero tanto affetto attorno a me, e ne sono felice perché ho lasciato sempre la mia impronta. L’unico rammarico della mia carriera resta Udine, dove non ho avuto la possibilità di lavorare: era una realtà ottima per me, ma non sono riuscito a spiegare che cosa sono e volevo fare. Non ne ho avuto il tempo».

De Biasi, come è nata l’idea di allenare l’Albania?

«Tramite un procuratore albanese che vive in Italia. E pensare che io non volevo neppure incontrare i dirigenti federali: avevo appena chiuso male con l’Udinese, volevo una rivincita diversa e in Serie A. Poi ho capito che per fare un certo tipo di calcio bisogna essere al centro del progetto e spesso in Italia l’allenatore non lo è. Ed è cominciata la mia avventura a Tirana».

Dove ha cominciato a lavorare con Paolo Tramezzani. Vi siete conosciuti in quel momento?

«Fu il consiglio prezioso di un amico giornalista. Paolo è una persona straordinaria, un amico fidatissimo che ho imparato a conoscere in questi anni ed è ormai molto più che un braccio destro, è un altro me».

Lei ripete spesso «Io sono albanese?»

«Vero. E non soltanto per una questione di passaporto. In piazza in queste ore è una cosa pazzesca, difficile da spiegare. Ci sono una bandiera e un popolo. Che va oltre il confine perché gli albanesi sono ovunque con il loro entusiasmo e l’amore per la patria».

In Armenia, dopo lo 0-3 della qualificazione ha detto «è il giorno più bello della mia vita». Conferma?

«A livello calcistico sì. Prima vengono mia moglie e mia figlia, loro sono il mio riferimento e sono sempre il giorno più bello della mia via».

In tempi di effetti speciali, Gianni De Biasi forse fa parte della categoria Normal One. O no?

«Effettivamente, cerco sempre di lavorare sotto traccia con i miei giocatori. Cerco l’ empatia con loro per tirarne fuori il massimo, voglio il loro coinvolgimento non solo una risposta tecnica».

Ha avuto paura dopo il k.o. con la Serbia?

«Un minimo. Il braccino ci era venuto. Ma lo abbiamo superato con animo e spirito di squadra».

Che cosa ha detto ai suoi in questi giorni?

«Tantissime cose, difficile condensarle in poche righe. A Yerevan prima della partita ho ricordato a tutti quello che avevo detto 4 anni fa, appena arrivato: Potreste essere i primi albanesi che fanno qualcosa di importante. Andiamo in campo decisi…?. Poi è stata una serata meravigliosa».

Che cosa ci dobbiamo aspettare in Francia dalla sua Albania?

«La qualificazione dà speranza, dice che i sogni si possono realizzare, non restano solo obiettivi. Siamo cresciuti tanto, ma a certi livelli non sarà facile continuare: ci proveremo ancora».

Così un giorno le intitoleranno uno stadio. O preferisce una piazza?

«Non scherziamo, però ci hanno annunciato che nel nuovo impianto di Tirana, quando sarà realizzato, ci sarà una targa con i nostri nomi per ricordare l’impresa di questa squadra».

Fare il c.t. è diverso da allenare, con che stimoli ha saputo trasformarsi?

«Diciamo che sono riuscito spesso a realizzare obiettivi che sembravano complicati alla vigilia. A Ferrara promozione e coppa dopo anni senza successi, a Modena il ritorno in A dalla C1 a 38 anni di distanza, a Torino un’altra promozione con una squadra fatta in pochi giorni. E ora l’Albania: nessuno, anche il tifoso con l’aquila tatuata sul petto, avrebbe mai detto anni fa dove saremmo arrivati. Amo le sfide impossibili».

Il suo calendario nei prossimi giorni?

«Rientro in Italia per qualche giorno, poi sarò subito in Francia per studiare una soluzione logistica adeguata alle nostre esigenze».

E il contratto?

«Era rinnovato automaticamente in caso di qualificazione, ma avremo modo di riparlarne e ritoccarlo. Non sarà un problema. E del resto il primo ministro mi ha appena detto che è pronto a strappare il mio passaporto italiano per trattenermi a Tirana…».

Ma il presidente federale Armando Duka era stato chiaro già prima della Serbia: «Scade a dicembre ? ci aveva spiegato ed è prolungato in caso di qualificazione a Francia 2016, ma noi vogliamo tenerlo comunque perché Gianni ha fatto un lavoro straordinario». Fiducia assoluta e dichiarata, prima che De Biasi portasse in strada un popolo intero

A cura di Gasparotto Manlio