Charalambopoulos, ostacoli trasformati in trampolini

Due uomini passeggiano su un campo da calcio, due figure lontane, riprese dall’obiettivo di una telecamera, chiacchierano serenamente all’aria aperta, col rumore in sottofondo delle macchine affaccendate, mentre il sibilo di un mangianastri impostore, tenuto nella mano destra del più giovane, autentica il tempo attuale, e non quello dipinto in un quadro della memoria.

Parlano, i due. Non si conoscono e parlano. Non c’è imbarazzo, nessuna ritrosia (potere della diplomazia) ma solo consapevolezza. Ognuno riveste il proprio ruolo, protagonista e regista, attore e scrittore, entrambi mentori di una certezza, il proprio lavoro, coadiuvati e uniti da una terza figura lontana qualche decina di metri, ma intrinsecamente presente in ognuno di loro. Il suo nome è Gianni.

Nei discorsi dell’uomo esperto, “Gianni” verrà pronunciato più volte e distintamente, accostato ad episodi diversi, temporalmente separati ma uniti nei ricordi. Già, i ricordi, uno iato degli uomini, un piccolo privilegio che ogni essere umano vanta sull’altro, generando pensieri, trascorsi, rumori. Ed è una fierezza oligarchica poter vantare sprazzi di sorrisi nella memoria del prossimo, specie se a contatto quotidianamente, così come trasuda stupore e un filo di emozione, colloquiare con Igor Charalambopoulos, uomo dal cuore spericolato e dalla mente chiara e lineare, amico e collaboratore, dottore ed allenatore, parente di una generazione purtroppo ormai in desuetudine ma ancorata a quei valori di una volta, sinonimi di rettitudine e serietà.

(Gian Sergio) Igor Charalambopoulos nasce per caso a Chiavari nel 1959, da madre veneta e padre greco. Vede la luce per la prima volta in Liguria, puramente per motivi di lavoro legati alla madre ed il nome Gian Sergio, è il prodotto di un’imprecisata costrizione puntigliosa dell’ufficiale giudiziario chiavarese, disturbato dall’appellativo straniero, etimologicamente russo, Igor, e inderogabile nell’inusuale pretesa di un nominativo tutto italiano – Gian Sergio – che finirà negli archivi di Stato, impolverato da un utilizzo pressoché inesistente: “Se mi chiamano con quel nome, manco mi giro”.

L’infanzia, vissuta nel cuore del Veneto, lungo le sponde del fiume Brenta, trascorre serena a Bassano del Grappa, circondato dall’amore di un nucleo famigliare abbastanza esteso (padre, madre, fratello e sorella), saldo a quei principi sui quali il giovane porrà le fondamenta nel proseguimento della vita.

Il calcio, la passione per il pallone, la terra e l’erba (“insostituibili, per questi oggetti provo una passione fuori della norma, sono un drogato di calcio”) si affacciano fin da bambino nelle fantasie dei desideri. La formazione del calciatore è affidata ai sette anni trascorsi nel settore giovanile del Bassano (uno dei migliori vivai della provincia vicentina) mentre la conseguente carriera si plasma sulla grande esperienza accumulata nei Dilettanti, di categoria in categoria, fino ai trent’anni.

Durante questo periodo Igor percorre strade impervie, perennemente in salita, l’obiettivo è uno solo, chiaro, preciso. Le necessità, invece, sono molteplici. Si sposa, innanzi tutto, giovanissimo, a soli vent’anni, con la ragazza che diventerà la donna di una vita, gli darà due figli maschi, “rivestirà un ruolo fondamentale nella costruzione del suo futuro”, e rappresenterà il porto sicuro dove l’uomo, la domenica sera, di ritorno dalla settimana lavorativa, tenterà di staccare la spina e trovare la pace interiore.

Studia e lavora, Igor. Prima come libero professionista per conto dell’Olivetti, poi presso la Direzione Provinciale delle Poste di Vicenza, un posto riparato, un impiego tranquillo “che ha dato da mangiare alla mia famiglia e per questo ne sarò grato” – ma non confacente alle sue aspirazioni, tutt’altro che sterili ed immobili, lanciate verso un avvenire dinamico, conturbante e perché no, all’insegna del professionismo nel mondo dei sogni, quello del calcio.
Ah…se arrivasse l’occasione, il treno da non perdere…e intanto, ormai adulto, lavora la mattina, studia il pomeriggio (si laureerà in Scienze Politiche) e comincia ad allenare, dapprima come giocatore-allenatore nella Virtus Romano, poi in qualità di responsabile degli Allievi Regionali fascia B del Bassano, accettando una chiamata da un ex giocatore di serie A, tal De Biasi, in procinto di lasciare col calcio giocato e passare dall’altra parte della barricata.

L’abboccamento tra i due è il classico scherzo del destino, abile nel portare a termine i suoi disegni nei modi più naturali e meno prevedibili: “ Concordammo un amichevole tra la mia squadra ed il Bassano, che schierava tra le proprie fila Gianni (stava smettendo di giocare e l’anno successivo avrebbe iniziato ad allenare), noi facemmo una buona gara, probabilmente gli piacque quello che mostrammo, e dopo un ulteriore incontro telefonico ci vedemmo una seconda volta, nella quale mi propose di entrare a far parte del settore tecnico giovanile del Bassano, affiancandolo”.

Il rapporto di collaborazione procede spedito ma si interrompe presto. De Biasi viene chiamato nelle giovanili del Vicenza, Igor si fa carico del Caerano S. Marco, formazione dilettantistica di proprietà del signor Danieli (fondatore della Diadora). Siamo nel 1991, la giornata tipo del mister è questa: partire da casa (Bassano) la mattina presto, andare a Vicenza (tratto di circa 40 km), lavorare fin verso la mezza, tornare indietro, pranzare, cambiarsi, ripartire alla volta di Caerano (altri 26 km), allenare nel pomeriggio, rientrare a cena ed iniziare a studiare. “Quando hai un obiettivo ben chiaro nella testa, e per me era quello di riuscire a far diventare il mio lavoro ciò che mi piaceva, tiri fuori il 110% delle tue possibilità”.

Due attività, lo studio, la famiglia da mantenere, la storia vera di un ragazzo che non lesina a rimboccarsi le maniche, in attesa dell’opportunità, quella che a qualunque onesto lavoratore prima o poi arriva, quella alla quale non si può dire no.
Ed il treno che passa una sola volta nella vita, condotto da Gianni, l’uomo che ha cambiato il destino di Igor, si ferma davanti alla casa dei Charalambopoulos l’anno successivo: “Tornavo dalle vacanze in Grecia e mi arrivò la sua telefonata. Mi ricordo ancora le parole esatte con cui esordì; Cosa dici se vogliamo fare le cose sul serio? – ammiccò – Cosa dici? Eh, (il sorriso dietro ai baffi racchiude il senso di una scommessa stravinta) mia moglie mi guardò in faccia e disse – Vai, se non lo prendi adesso, non lo prendi più – e da quel momento il mio futuro cambiò”.

E cambia davvero la vita di questa famiglia. Nel 1992 Igor è accanto a Gianni nella Vastese (serie C2), poi vanno a Carpi (C1) per tre anni, infine l’esperienza amara di Cosenza (B), dove la coppia affronta il primo esonero e si divide (“fu uno shock per entrambi, in quei momenti ti poni mille interrogativi).
Dopo l’avventura in Calabria succede qualcosa. La famiglia si stabilisce definitivamente a Correggio (dolce cittadina emiliana tra Reggio Emilia e Modena), una nuova opportunità si ripresenta a Carpi (mentre De Biasi va a Ferrara), allenando la formazione Primavera per un anno, poi nel Fiorenzuola (C2), e il grande salto nella massima serie, più precisamente a Udine, a fianco di De Canio (vincendo l’ Intertoto ed arrivando alla soglia dei quarti di finale in Coppa Uefa) e a Napoli, sempre come collaboratore dell’attuale allenatore senese.

Infine, “dato che i cerchi si chiudono” e le strade del cuore si incontrano, nel 2001 Igor torna alla corte della persona che gli diede fiducia nove anni prima, e da lì in avanti non la lascia più, ricominciando da Modena, passando per Brescia e continuando a Torino. Una sinergia che dura da dieci anni, un rapporto che va ben al di là della semplice collaborazione professionale, sconfinando in un’amicizia profonda, veritiera, quella del confronto aperto, dell’onestà intellettuale e della schiettezza: “Se per amicizia intendiamo la sincerità, la correttezza nei rapporti, la trasparenza, allora la nostra è amicizia”.

La mano del giovane clicca il pulsante dello “stop”, ripone l’oggetto metallico nella tasca, e fissa gli occhi sinceri, lucidi e neri della persona al suo fianco; ora sa chi è il suo interlocutore, ha imparato ad apprezzarlo, lo stima e abbozza: “Igor, non credete di rappresentare un po’ delle mosche bianche in questo calcio marcio di valori, ricco di tentazioni? ”. L’uomo indietreggia, si fa assorto, tentenna e rassicura: “Forse si, se mi riferisco a Gianni e al nostro gruppo di lavoro, credo siamo persone in grado di coniugare competenze professionali e morali, non per niente c’è grande accordo tra noi e in carriera abbiamo raccolto degli ottimi risultati, penso addirittura a quelli di Gianni, vincente a Ferrara, Modena e Brescia. Mi chiedi un suo difetto? Non parla bene l’inglese e se mai andassimo in Inghilterra, sarei curioso di sapere come potrebbe farsi capire”.

E’ tardi, ho trattenuto Igor un po’ troppo, passa De Biasi e commenta sospettoso “Quanto ci avete messo ragazzi”, ben sapendo che si è parlato anche di lui, di una vita, un sogno, degli occhi di un amico, una persona dai modi semplici e cortesi, che voltandosi indietro, affacciandosi alla finestra del passato, non ha nulla da recriminare, nessuna pretesa da avanzare, nemmeno una fantasia da realizzare, a patto che non venga forzato: ”Ho esaudito le mie aspirazioni, altro non vorrei. Se proprio dovessi andare a cercare nei luoghi più angusti e nascosti della mente, forse mi piacerebbe che il nostro gruppo allenasse una grande società”, zeppa di campioni, fitta di illusioni, alimentata da ambizioni…”solo – e sussurra -…solo per vedere l’effetto che fa”.

A cura di Federico Freni

Fonte: NESTI Channel