Anche i numeri dicono Toro

Artico, il preparatore: «Le idee di De Biasi contano più della forma fisica»

TORINO. Applausi. Spontanei come l’affetto della gente quando è felice. E il popolo granata è finalmente contento, dopo essersi rovinato bile e fegato con la tragedia imbastita e recitata fino a cadere nel baratro dall’ex patron Cimminelli. Il Toro secondo in classifica a braccetto del Modena, a quattro lunghezze dal Mantova «spider» e con un partita da recuperare (il 18 contro il Bari), induce i tifosi a dare sfogo al proprio benessere interiore battendo forte le mani quando i granata (stropicciati dalle fatiche di Arezzo) si materializzano sul campo di Orbassano. C’è della gioia.

Quattro vittorie consecutive, tre di fila in trasferta, la difesa meno perforata della cadetteria (3 gol) al pari dei canarini gialloblù, mai bucata su azione ma solo su calci piazzati: due i rigori subìti, uno con l’Atalanta e uno con gli amaranto toscani, e una rete incassata da calcio piazzato sempre contro i bergamaschi. La retroguardia è un bunker, il centrocampo pur cambiando gli uomini a fianco di Ardito ha risorse d’aria impensabili che permettono di correre e mantenere lucidità, in attacco Fantini è, dei tre pelati offensivi (con Stellone e Rosina), l’attuale Re Mida (5 gol, vice capocannoniere).
Tanta roba, tanta grazia in graduatoria. Ciò che sorprende gli addetti ai lavori, però, è lo smalto atletico della truppa di De Biasi che ha saltato a piè pari la preparazione di base. L’anno scorso nello stesso periodo il Toro di Ezio Rossi aveva disputato sei partite (anzichè le sette già macinate ora) e racimolato 15 punti, 1 in meno di adesso. Ma all’epoca il gruppo si conosceva e i fondamentali per immagazzinare le energie erano stati svolti.

Dunque, segreti e magie sconosciute? «Innanzitutto le squadre sono composte da seri professionisti e perciò arrivano in ritiro abbastanza in forma, soprattutto quelli che non hanno trovato un ingaggio. Quello che manca ad un gruppo di sconosciuti è la coesione tattica. Ma lì servono le indicazioni dell’allenatore la condizione atletica conta molto meno» è l’opinione di Elio Locatelli, ex direttore tecnico delle squadre azzurre di atletica leggera e oggi direttore del Dipartimento sviluppo della Iaaf. «Nel calcio a differenza di altri sport è lo spirito di gruppo, il clima dello spogliatoio, che incide più di altri elementi. Poi ciascun allenatore ha una sua metodologia, chi predilige lavorare solo con il pallone, come il professore danese Bangsbo (ex della Juventus, ndr), e chi opta per il potenziamento muscolare. Ripeto, nel calcio non c’è scienza esatta».

Il responsabile della tenuta atletica dei granata, Paolo Artico, parla in presenza del suo nume tutelare e capo équipe De Biasi. «Il ritardo con cui si è cominciato a lavorare ci ha ovviamente mutato i programmi – spiega -. Abbiamo rinunciato alla potenza con le corse lunghe e privilegiato il lavoro aerobico immediato. Poi resistenza e velocità. In una seconda fase miglioreremo la forza esplosiva. Il calcio resta uno sport di forza, non di pura corsa». Al tecnico granata piace puntualizzare l’elemento decisivo in un gruppo che vince: «La testa, parte tutto da lì, la forma atletica viene di conseguenza. Se si hanno grandi motivazioni e un fisico non martoriato dagli incidenti si possono fare cose strepitose».
Di ammaccature recenti e dolori gravi passati, ne sa qualcosa il viareggino Andrea Ardito, lo stakanovista di metacampo, l’unico sempre presente dal primo minuto insieme a Taibi, Balestri e Stellone. «Ad Arezzo ho preso una gomitata da D’Anna (ferita al sopracciglio destro, ndr) – dice – e ne sono volate diverse altre in campo. Però è nulla se penso ai miei due anni di stop per il crociato prima e il piede fracassato dopo. Sono contento di quest’avvio, lo sognavamo ma non ci speravamo. La stanchezza adesso non c’è quando arriverà ci penseremo. In tanti anni ho capito che è inutile fare programmi a lunga scadenza, meglio vivere partita dopo partita». A cominciare dal Bologna.

di Silvia Garbarino

Fonte: La Stampa