La famiglia granata si allarga De Biasi figlio adottivo del Fila

ESISTONO alchimie imprevedibili, improvvise, persino strampalate. Nel bene come nel male. Fortissime nel Torino, sempre più a metà strada tra la famiglia e la setta, che una normale società. A volte, per un dato allenatore,piuttosto che giocatore metteresti la mano sul fuoco, che sarà quello giusto: storia, passato, caratteristiche lo vestono di granata prim’ancora del contratto. Poi, invece, un peluzzo del destino devia un alito di vento, un pallone rimballonzola a tradimento su una pozza, e la certezza diventa buona per “le ultime parole famose”sulla Settimana Enigmistica (L’ Ezio Rossi allenatore ne è il paradigma più recente). Altrimenti succede che una scintilla invisibile accenda l’aura del mito senza avvertimenti o avvisaglie, neanche un segnale. Quando meno l’aspetti. Roba tipo l’amore. Radice o Camolese, Asta o Roberto Policano sono spiccioli esempi citati a casaccio. Gente che ha scalpellato il proprio nome nella nobile e selettiva galleria del Torino. Gianni De Biasi, non se ne abbia, è fortemente indiziato, al momento.Visto da fuori, nella sua precedente carriera non rispettava proprio i canoni del tecnico sospettato di poter seminare dottrina in granata. Anzi (sia chiaro, non si sta parlando di qualità professionali), scrutato con la lente di una certa iconografía Toro, avrebbe piuttosto potuto essere sospettato di saper rivestire meglio l’abito zebrato.

Non lo s’impara mai a sufficienza, quanto fregano le apparenze. Risultati, eccezionali, a parte, De Biasi colpisce strutturalmente, nella sostanza insomma. Dà nette sensazioni di un buon allenatore che a Torino ha trovato il periodo e l’ambiente della piena maturazione professionale. Un tecnico in accelerazione, proprio come il suo presidente. In campo manda la quasi totalità di ragazzi per i quali, fino all’altro ieri, il Torino era, nella migliore delle ipotesi, una pagina di storia, nella peggiore la fonte di cimminelliane barzellette e romeriane freddure: eppure, raramente e solo saltuariamente negli ultimi anni il tifoso può dire di aver visto in campo una squadra tanto fedele ai crismi della propria,fede. E scusate se è poco. Sul piano squisitamente tecnico, il Torino è già una formazione dall’organizzazione di gioco razionale e puntigliosa, dacché persegue un’ idea precisa benchè camaleontica nei metodi; consapevole della proria forza e pure dei propri limiti, che sa fare di necessità virtù.Quale delle sue maestrie sia la più prodigiosa non è umano stabilire, però è sfolgorante agli occhi il prodotto: un gruppo dalla mentalità vincente che muove compatto e fondato sull’ interscambiabilità e sul mutuo soccorso. Quest’ ultimo concetto è basilare e tutt’altro che semplice da ottenere, tuttavia ci pare la peculiarità più nitida, e come dire, più avanzata del lavoro in fieri di De Biasi. Quella che sta facendo la differenza. Difatti il Torino ha la difesa meno battuta che non ha ancora subito un goal su azione: due rigori e una testata su calcio di punizione. Un risultato che si spiega non solo con la bravura dei difensori, bensì una concezione di gioco globale che vede negli attaccanti i primi difensori, a cominciare proprio dalle grandi firme Muzzi e Stellone nonchè dal sempre più tremendista Fantini. Un Toro sempre corto, che si difenda o che attacchi, e con due robe così, sotto. Un Toro di pelati forti per palati fini. Un Toro che con De Biasi ha allargato la famiglia e scoperto come rinnovare la propria miglior tradizione.

A cura di ALBERTO MANASSERO

Fonte: Corriere dello Sport