Io, Don Chisciotte e il mio Toro

“Questo è un mondo diverso, circondato da una passionalità che non ha riscontri, anche se spesso la si butta troppo sul tragico”
“Il tecnico granata parla già da ex: “Sentirò nostalgia per le persone e per i luoghi, le Langhe e la Mole che vedo da casa”
“Qualche mulino a vento lo centro ancora, ma la verità è che sono un romantico”
“Secondo me la squadra ha enormi risorse, il futuro potrebbe essere davvero luminoso”
“Mi fanno tornare al mio orticello come Cincinnato, sono dieci giorni che Cairo non mi parla più”

Chi è Gianni De Biasi?
«Boh».
In più di cinquant´anni ancora non l´ha capito?
«Beh, qualcosa sì. Sono tenace, credo in quello che faccio, conosco la fatica che ho fatto per salire in cima alla piramide, sudandomi ogni giornata per arrivare alla sera. Soprattutto, senza avere mai ricevuto delle spinte».
Mai pensato di prendere strade più comode?
«Avrei potuto: sarebbe bastato iscrivermi a qualche scuderia, ma vado orgoglioso della mia faticosa indipendenza. Sono arrivato in serie B da solo, sono tornato in C2, mi sono conquistato la serie A con due promozioni consecutive, l´ho di nuovo perduta, me la sono ripresa con il Toro e poi sono stato esiliato nel mio orticello, come Cincinnato. E adesso mi faranno tornare all´orticello».
Sicuro?
«Matematico, altrimenti Cairo non avrebbe fatto passare dieci giorni senza parlarmi».
Non si è pentito della sua indipendenza?
«Mai. La fatica che ho fatto è sempre stata compensata dall´appagamento per quello che ho ottenuto. Come dice quella pubblicità, ci sono soddisfazioni che non hanno prezzo».
Ma De Biasi avrà ben anche qualche difetto, no?
«Più di uno».
Presuntuoso?
«Forse sì, se presunzione è ambizione».
Carattere difficile?
«Quello non credo. Magari, visto che sono un tipo molto diretto, posso sembrare difficile ai falsi e ai leccaculo».
In questo modo s´è giocato l´80 per cento delle conoscenze calcistiche, lo sa?
«Non si può mica andare d´accordo con tutti. Però con il tempo mi sono calmato, fino a qualche anno fa ero un Don Chisciotte che con il suo asino andava a sbattere contro tutti i mulini, ultimamente ho imparato a schivarli. I falsi, in ogni caso, continuo a non tollerarli: non mi piacciono quelli che ti indorano la pillola o che ti dicono una cosa pensandone un´altra. Urtano la mia sensibilità. Anzi: la mia lealtà, per usare un termine di moda».
Durante la sua carriera in ascensore ha fatto cadute molto dolorose: l´hanno ammorbidito o indurito?
«Mi hanno soltanto messo la voglia di ripartire in maniera ancora più decisa. Dopo la delusione di Brescia, quando sposai un progetto senza capo né coda e finii esonerato, sono arrivato al Toro più determinato che mai. Immaginate, dunque, le motivazioni che ho adesso o che avevo l´estate scorsa, dopo un esonero di cui non ho mai capito le ragioni, ammesso che non ci fosse qualcosa sotto».
Stanco o stufo?
«Il mio spirito competitivo è intatto, adoro le sfide impossibili, mi piace convivere con le difficoltà. È stancante, ma appagante. Anche se quando ti riduci a essere giudicato perché non sei riuscito a fare un gioco sfavillante, beh, ti girano los huevos».
Adesso le toccherà mettere le radici altrove: è pronto?
«Mi chiamavano il Ferguson del Toro, ma lui sono vent´anni che non cambia casa e io ho traslocato due volte in due anni. Ma ormai sono preparato a questa vita da randagio».
E cambiare lavoro?
«Sono giovane e pieno di forze: scherza?».
Qual è la soddisfazione che non dimenticherà mai?
«L´avventura di Modena, cominciata in C1 e finita con la salvezza in serie A, con una creatura modellata negli anni. Ma anche la mia storia al Toro è stata indimenticabile: Urbano I non mi aveva chiesto niente, all´inizio, ma poi ci ha preso gusto e siamo arrivati al punto che se non avessimo centrato la promozione sarebbe stato un mezzo fallimento».
Invece è stato un miracolo, giusto?
«L´ho detto io e non solo io. Avrei voluto vedere un altro al mio posto».
Ecco un altro aggettivo per De Biasi: orgoglioso. Giusto?
«Giusto. Molto orgoglioso. E molto fedele al senso di appartenenza: entro nella realtà in cui vivo, diventa il mio punto focale, ci vivo dentro».
E il Toro quanto l´ha vissuto?
«Tantissimo, perché questo è veramente un mondo diverso. È circondato da una passionalità e da un amore che non hanno riscontri altrove, anche se poi si cade nell´eccesso opposto: la si butta troppo spesso sul tragico, ci si costruisce le difficoltà in casa, ci si esalta o ci si deprime in un attimo, ci si parla troppo addosso. Quante ciance sprecate».
Vuol dire che il Toro non sfrutta le potenzialità che avrebbe?
«Ci sono enormi risorse che, se gestite un po´ meglio, potrebbero portare a un futuro luminoso. È un´indicazione per il mio amico Urbano».
È un discorso che vale anche per Torino?
«Sì: è bella e offre molto, ma è mal sfruttata».
Assomiglia al Toro?
«Non direi. È più dormiente».
Ne avrà nostalgia?
«Sì, dei posti e delle persone. Delle Langhe, della Mole che vedevo dalla finestra di casa mia, della collina e del Po che le passa sotto…».
Con la politica come è messo?
«Sto con il centrosinistra, anche se i politici sono macchinette che scattano solo per convenienza. Non le conto più le occasioni che si sono perse per migliorare questo paese, per raccogliere le proposte di evoluzione. Invidio la Spagna, che era chilometri dietro e adesso sta anni luce davanti a noi. Complimenti a Zapatero».
Ha amici nel calcio?
«Solo buoni rapporti, con gente tipo Silvio Baldini, Beretta, Pillon, Del Neri, Ranieri. L´amicizia è un´altra cosa».
È frequente il tradimento nel calcio?
«Oh beh, è il mondo degli opportunismi e degli opportunisti».
Tornerà a Torino, un giorno?
«Fosse per la gente, senza dubbio. Ma chi sarebbe l´interlocutore?».
Don Chisciotte vive ancora dentro di lei: confessa?
«Qualche mulino lo centro ancora. Il problema è che sono un romantico, l´ultimo dei romantici. Ecco il mio vero difetto».

Fonte: La Repubblica