De Biasi: “Pensiamo alla squadra, non alla nostra gloria personale”

UDINE. Gianni De Biasi è un uomo di calcio. Lo capisci dopo un’ora di chiacchierata che scivola via leggera (e senza mai nominare il gol di Mannini) alla scoperta del nuovo allenatore dell’Udinese. Come sempre sarà il campo a dare gli unici verdetti che contano, ma intanto possiamo dire che i Pozzo hanno trovato un tecnico che si è calato completamente nella parte, che, come la gente friulana non lancia proclami, ma dedica anima e corpo all’Udinese. C’è una montagna da scalare e in questi casi più che le parole contano i fatti e allora ecco che De Biasi ammette che l’Udinese «una buona squadra con ottime individualità», ma calendario alla mano, non va oltre alla trasferta di Bari. «Perchè oggi io devo solo pensare a vincere quella».

Mister, il suo curriculum in panchina lo conosciamo. Che calciatore era, invece, Gianni De Biasi?
«Un centrocampista di qualità e quantità. L’Inter nel ’75 mi acquistò per una cifra che oggi può essere equiparata attorno ai 2 milioni di euro. Presenze zero e il perchè è presto detto: avevo davanti gente del calibro di Mazzola, Bertini, Merlo e Oriali».

Il De Biasi allenatore comincia a farsi conoscere a Modena. È in Emilia che ha “dipinto” il suo quadro più bello?
«La vera impresa è la promozione in A col Torino con una rosa costruita a sette giorni dall’inizio del campionato. Il Modena è stata la mia squadra che ha giocato meglio: la presi in serie C, la salvai e in due stagioni la portai in A dove poi ci salvammo. In C avevo Milanetto e Legrottaglie, poi arrivaroni i vari Balestri, Mauri, Domizzi e in porta il “giovane” Ballotta».

È mai stato vicino a una grande?
«Qualcosa ci fu alla fine della mia esperienza a Modena, ma allora i grandi club non puntavano ad occhi chiusi sui giovani come accade oggi».

Era in odore di Milan e Juve?
«Ho già risposto. Punto».

Lei è stato esonerato a Brescia e Torino. Come si sente un allenatore quando viene cacciato?
«È frustrante, ma per quanto riguarda gli esoneri di Torino li considero delle medaglie al pari delle salvezze e delle promozioni».

Ci spiega la polveriera granata?
«È un ambiente particolare, i guai nascono sempre in cima: quando non c’è stabilità e condivisione dei problemi è dura andare avanti».

Il quotidiano spagnolo As, durante la sua esperienza al Levante, la definì il miglior tecnico della Liga. E allora in Spagna lavoravano Rijkaard, Schuster, Ramos…
«La considerazione fu fatta in base agli uomini che avevo a disposizione. A gennaio se ne andarono i 7-8 migliori elementi della rosa, io mollai ad aprile quando la società, che non pagava gli stipendi da novembre, fallì. Tornai al Toro nelle ultime cinque gare e ci salvammo. Ma evidentemente qualcuno pensava che la squadra fosse da Champions League».

Quella che gli allenatori delle grandi squadre devono essere dei gestori di uomini più che grandi conoscitori di calcio è una frase che risponde al vero?
«No, mi sembra il classico luogo comune. Per ogni allenatore è importante avere un gruppo di uomini che si senta coinvolto, che sappia mettersi in discussione e che non dia niente per scontato».

Come giudica la scelta di Juve e Milan di ricorrere a Ferrara e Leonardo?
«Si è agito sull’onda emotiva dell’effetto Guardiola che è stato molto bravo a gestire una rosa straordinaria mettendoci molto di suo. Ma quella spagnola è una realtà diversa. Nelle giovanili l’a nalisi della partita parte dalla domanda “come avete giocato?” e non “cosa avete fatto?”».

De Biasi, quali sono state le prime parole che ha detto ai suoi nuovi giocatori in spogliatoio?
«Ai ragazzi ho spiegato che sono qui per aiutarli a esprimersi al meglio. In me troveranno sempre una porta aperta per ascoltarli. Sono una persona democratica, che accetta il contraddittorio».

E i colloqui con i singoli su cosa convertivano?
«Su come vivevano questo momento particolare e cosa l’aveva provocato».

Le risposte?
«Beh, queste, se permettete, le tengo per me».

Sarà un’Udinese con il 4-4-2 quella di Bari? In fondo è il modulo più semplice.
«Beh, in teoria la strada più facile è quella di confermare il 4-3-3 che i ragazzi conoscono a memoria. Comunque vediamo. Il Bari è una squadra che gioca con un 4-2-4, dovremo essere accorti e coprire bene la fasce e una difesa elastica che sappia assorbire la velocità di giocatori come Barreto e Alvarez».

Il 4-4-2 è un modulo che può penalizzare D’A gostino?
«Se c’è la voglia di mettersi in discussione e di non mollare di un centimetro non c’è modulo che tenga».

Udine si attende il salto di qualità da Sanchez.
«Ha grandi qualità tecniche e fisiche visto quanto è rapido e resistente. Ha la fortuna di avere a fianco un esempio come Di Natale che dà sempre una lettura straordinaria delle varie situazioni in campo».

Siamo entrati nella fase del mercato di riparazione. L’Udinese a lei sta bene così?
«Questa è una squadra con buone qualità e ottime individualità che deve solo ritrovare lo spirito che l’ha contraddistinta in passato. Il limite più grosso può essere nella testa di ognuno di noi. Starà a me non far dormire sonni tranquilli, spiegare che tra vincere e perdere c’è una bella differenza. L’importante è che non si antepongano gli obiettivi personali a quelli della squadra anche perchè è sempre il gruppo che porta lontano il singolo e non viceversa».

Le gerarchie si annullano quando cambia allenatore?
«Sì, e l’ho detto ai ragazzi: non ho preclusioni, si riparte tutti da zero».

Che squadra ha ereditato dal punto di vista atletico?
«L’aspetto della resistenza a volte è influenzato dall’aspetto tattico. La squadra è lunga, non copre adeguatamente gli spazi e fatica. In questi giorni abbiamo lavorato su forza e la potenza aerobica qualità che ci ritroveremo più in là nel tempo».

L’Udinese è società atipica: città piccola, ma società che punta ad andare in Europa. In partenza quali devono essere i veri obettivi?
«Il nord-est è terra di gente concreta, che non ama i voli pindarici. Ma se vedi che ci sono le basi per puntare in alto perchè restare nella mediocrità?».

Da tecnico si è ispirato a qualcuno?
«Quando ho cominciato ad allenare l’uomo della rivoluzione copernicana nel nostro campo è stato Sacchi».

Mourinho le piace?
«Dal punto di vista della comunicazione è il numero uno e poi è bravo a farsi comprare tutto quello che vuole».

Mister, non le abbiamo fatto neanche una domanda sul gol di Mannini. Sorpreso?
«Un po’. Ma del resto sull’argomento avevo già detto tutto».

di Massimo Meroi

Fonte: Messaggero Veneto