De Biasi, allenatore-gentiluomo in serie A: “Vasto nel cuore”

VASTO - E’ Gianni De Biasi il protagonista della seconda puntata di Amarcord, la rubrica con cui Vastowebracconta storie e personaggi che a Vasto hanno lasciato il segno. Nel 1992 era il tecnico della Vastese. Vinse le diffidenze iniziali portando un gruppo di giovanissimi a diventare quello che i commentatori definirono il Parma della serie C, alludendo alla squadra allora allenata da Nevio Scala, che in serie A vinceva e divertiva. E nella massima serie De Biasi è arrivato pian piano. Ha allenato anche Roberto Baggio. Qui si racconta a Vastoweb. Un’intervista diGiuseppe Ritucci.

Mister, lo sa che la Pro Vasto non c’è più?

“Ahimè, lo so. Ho dei cari amici che mi tengono informato su quello che succede”.

Inizia così la chiacchierata telefonica con Gianni De Biasi, allenatore della Vastese 1992/1993, ancora ricordato con affetto in città.

“E’ davvero un peccato per la città e per la gente. Ricordo davvero con piacere una tifoseria calda che faceva sentire agli avversari il fattore campo”.

Quali sono i primi ricordi che ha di Vasto?

“La bellezza della città, con la passeggiata panoramica che si affaccia sul golfo. Mia moglie è sempre stata affascinata dalla città. Poi era appena nata nostra figlia, quindi il ricordo di quell’anno è ancora più bello. Inoltre era la mia prima esperienza da allenatore professionista, non posso che avere bei ricordi”.

Come si ritrovò a debuttare come allenatore sulla panchina della Vastese?

“Quasi per una casualità. Attraverso una persona, esterna alla società di allora, mi fu offerta questa possibilità. Il presidente, il compianto commendator Dante Marramiero, mi conosceva bene perché nel 1977 avevo giocato a Pescara, quindi mi presero anche se ero un debuttante. La stagione 1992/93, con me come allenatore alla prima esperienza, una squadra con tanti volti nuovi, tra cui molti giovani, partì   con mille perplessità e tanta diffidenza. Alla fine, però, devo dire che è stata una bella annata, molto positiva. La società, così come oggi sono costrette a fare tante squadre, aveva l’obiettivo di contenere i costi. Ci sono riusciti, senza fare però brutte figure”.

Qual è il ricordo più bello?

“Ce ne sono davvero tanti, come dicevo è stata un’annata speciale. Ricordo che, prima di andare via da Vasto, organizzai un pranzo con tutta la squadra, dall’amico Marino Artese. Quel giorno tanti giocatori avevano le lacrime agli occhi. Non era solo il saluto di un allenatore, ma lo scioglimento di un qualcosa che per tutti era stato davvero speciale perchè si era creato davvero un bel gruppo. E poi ricordo con piacere, anche se non vorrei passare per uno che si auto-celebra, che giocavamo davvero molto bene. C’erano giovani interessanti, come Lunardon, Manganiello, e giocatori esperti, come Russo o Pino De Filippis che partì da dodicesimo ma si conquistò alla grande il posto da titolare. Tutti davano il 110% in campo”.

Che ricordo ha del presidente Marramiero?

“Era davvero una persona d’altri tempi, con lui bastava una semplice stretta di mano per essere d’accordo. Anche se viveva a Pescara era sempre vicino alla squadra. Eravamo in costante contatto telefonico e poi ogni tanto veniva a farci visita. Davvero un grande uomo”.

Dopo Vasto la sua carriera è andata avanti molto bene.

“Ho dovuto fare sempre una gavetta pazzesca, come scalare una montagna solo con una corda e una piccozza. Ma non mi sono mai arreso di fronte a nessuna difficoltà. Dopo Vasto sono stato 3 anni a Carpi, poi Cosenza, la Spal. La soddisfazione più bella è stata sicuramente con il Modena. In tre anni siamo saliti dalla C1 alla serie A e ci siamo salvati. Tutto ciò è stato possibile grazie al lavoro fatto in sinergia con il direttore sportivo Tosi, ora alla Sampdoria. Il presidente ci aveva lasciato carta bianca e abbiamo potuto lavorare programmando tutto per bene. Spesso nel calcio si arriva in realtà dove bisogna gestire una situazione esistente e non si può pianificare. Ecco perché poi si fallisce. Invece al Modena abbiamo potuto impostare tutto nel migliore dei modi. Dopo questi tre anni e mezzo al Modena lasciai, perché mi ero reso conto che era finito un ciclo. Quando ti accorgi che un gruppo di giocatori ha dato tutto quello che poteva, bisogna cambiare”.

Ha avuto l’opportunità di allenare Baggio, il giocatore italiano più amato. Come ricorda questa esperienza?

“Nel 2003, oltre a quella del Brescia, avevo altre offerte, anche di squadre più quotate. Però volevo davvero lavorare con Baggio. Roby ha delle qualità tecniche e umane fuori dal comune. E’una persona straordinaria, mai una polemica, mai una parola o un gesto fuori posto. Una bella soddisfazione averlo avuto come mio giocatore”.

A mio avviso, fino ad ora, non ha raccolto quanto merita. Perché?

“Non ho procuratori, gestisco tutto da me. Credo di avere una serenità ed un’onestà intellettuale che magari mi hanno fatto mancare qualche occasione, ma senza troppi rimpianti. Per quest’anno sono inattivo come allenatore, fino a ora, e sto vivendo un’interessante esperienza di commentatore per Mediaset Premium e ne sono appagato. Però è chiaro che voglio ritornare presto sul campo. Al momento, se potessi scegliere tra allenare in Italia o all’estero, sceglierei l’estero. Ho fatto un’esperienza di sei mesi in Spagna, al Levante, ricevendo molti attestati di stima. Lì in Spagna l’allenatore è ancora molto rispettato. Qui in Italia è un po’ diverso, perché l’allenatore ha unappeal diverso sui giocatori, che spesso fanno il bello il cattivo tempo. Sono tornato da poco dalla Spagna. Ero andato per commentare Villareal-Napoli e mi sono fermato qualche giorno a Valencia, dove sono di casa e ho tanti amici tra dirigenti, giornalisti e addetti ai lavori”.

Prima della scelta di Cosmi al Palermo tra i tanti nomi c’era anche il suo. Zamparini l’ha chiamata?

“Contatti veri e propri non ce ne sono stati, solo rumors dei media. Probabilmente perché ho giocato per 3 anni a Palermo, e quindi ho potuto conoscere bene la tifoseria, l’ambiente. Ma solo voci”.

Per il suo lavoro di allenatore e commentatore avrà fatto un’analisi dei problemi del calcio italiano. Perché appare così in crisi?

“Dopo la vittoria del Mondiale nel 2006 sono iniziati problemi e delusioni per la Nazionale, che ha fatto una figuraccia in Sudafrica, e per le squadre di club. A mio avviso c’è una mentalità diffusa poco disposta a mettersi in discussione. Spesso noi protagonisti ci dimentichiamo della risonanza che i nostri comportamenti hanno e si compiono addirittura gesti diseducativi. Per gli allenatori c’è poca possibilità di incidere realmente nelle società, che tutelano il loro patrimonio, cioè i giocatori, quindi stanno dalla loro parte. E poi quello che dicevo prima, si è portati verso la gestione delle situazioni critiche, piuttosto che verso la pianificazione”.

Mantenendosi in contatto con amici vastesi avrà seguito le vicissitudini del calcio a Vasto. Secondo lei quali sono i problemi?

“In generale tutta la Lega Pro ha difficoltà. C’è l’assoluta necessità di far quadrare i conti e non ci sono più i mecenati che arrivano e ripianano i bilanci. La crisi economica si fa sentire per tutti e quindi, anche a Vasto, non si riesce a dare una certa stabilità. Sono un po’ i problemi che c’erano ai miei tempi, accentuati dal momento particolare che stiamo vivendo. Però spero che Vasto, che porto sempre nel mio cuore e in cui appena posso torno, possa tornare presto nel calcio che conta”.

Giuseppe Ritucci

Fonte: Vasto Web