Editoriale di Tuttosport del 21-05-2007

La salvezza del Toro, con una giornata di anticipo sulla conclusione del campionato di serie A, è il primo atto di vera normalità della gestione-Cairo, cominciata quasi due anni or sono. Non è un traguardo eccezionale, dunque non può scatenare entusiasmo. Non è esattamente l’obiettivo che ci si era prefissi, né è stato raggiunto passando da mo­menti di grazia e/o di calcio convincente.

Tuttavia è un pun­to finalmente fermo da cui muovere per mettere a frutto una serie di esperienze in maniera più strutturata rispetto a quanto realizzato finora.
Come i lettori di Tuttosport sanno bene, e i granata meglio di tutti, non sono mai stato troppo tenero con il presidente, imputandogli, fin da poco prima del via al campionato, l’i­nopportunità del cambio De Biasi-Zaccheroni (uomo giu­sto nel momento sbagliato, scrissi); la scarsa qualità, fin troppo pagata a livello di cartellino e di ingaggio, di alcuni acquisti; qualche errore, di generosità, ma anche di accen­tramento, nella gestione della società, sempre scoperta, al­meno secondo me, in alcuni ruoli-chiave (direttore sporti­vo, team manager, general manager).
Eppure bisogna ricordare che Cairo aveva sviluppato al­meno il 70 per cento della campagna-acquisti condividen­dola con De Biasi e Tosi; che ha portato in maglia granata una decina di nuovi elementi; che per investimenti ed emo­lumenti il Toro, in un’ipotetica graduatoria dei costi del­l’intera serie A, è preceduto solo da Inter, Milan, Fiorenti­na, Roma, Lazio e Palermo. In forza di tutto ciò non solo era logico attendersi una classifica da zona-Uefa, ma è doloro­so, prima di tutto per il presidente, che quell’ambizione sia stata sfiorata solo qualche volta e del tutto fuggevolmente. Soldi spesi male? Spesi, prima di tutto, per rinforzare la ro­sa e pagare con regolarità (ripeto: con regolarità) i dipen­denti. Spesi – aggiungo – senza considerare fino in fondo che la squadra è un sistema di competizione interna e di soli­darietà individuale assai complesso, un luogo in cui misce­lare e amalgamare è più difficile che eliminare e ridurre. Di questo Cairo sembra essersene accorto e, ne sono certo, è una mancanza che colmerà. Come e con chi ancora non si sa, ma il fatto che da oggi e almeno per i prossimi dieci gior­ni il presidente abbia deciso di prendersi il tempo per ri­flettere e per decidere è sintomatico della necessità e del­l’urgenza.
L’allenatore, ovvero la sua conferma (peraltro già autenti­cata da un contratto a tutto il 2008), non rappresenta un no­do. Potrebbe diventarlo nel momento in cui il progetto di cui De Biasi ha parlato a fine partita risultasse poco o per nul­la gradito a lui. Sinceramente non so se De Biasi possa ave­re, o abbia effettivamente, offerte migliori di quella di ri­manere al Toro. Però non lo credo. Visto che questa piazza, e questa squadra, dopo aver fatto accorrere un tecnico co­me Zaccheroni (fermo da due stagioni proprio perché aspettava una proposta del genere), sarebbe la preferita da gente come Novellino, Guidolin e, me l’ha detto un uccelli­no (ma non era quello di Del Piero), perfino dal richiestis­simo Mazzarri.
Evidentemente il Toro, il suo popolo, Cairo e una società in via di edificazione, dopo una stagione servita a gettare le fondamenta, rappresentano l’eccellenza del calcio italiano. Chi c’è, e ce l’ha, lavori per meritarseli.

Fonte: Tuttosport