De Biasi: la mia vittoria contro il calcio snob

Parla l’allenatore italiano che ha portato l’Albania agli Europei. “In Italia cercano solo grandi nomi, ma non sono tutti Guardiola
Tutta una nazione ci sostiene, vi stupiremo ancora”

Un successo che va al di là dello sport. La vittoria per 3-0 in Armenia ha permesso all’Albania di staccare il biglietto per la fase finale degli Europei in Francia. Non era mai successo alla Nazionale di Tirana che finora aveva conquistato solo qualificazioni a livello giovanile: Under 18 (1982) e Under 16 (1994). Autore dell’impresa un allenatore italiano: Gianni De Biasi, veneto, 59 anni, ct dal dicembre 2011, festeggiato come un eroe al di là dell’Adriatico.

De Biasi, per lei sono giorni indimenticabili. «Il 2015 è stato magico. Prima la cittadinanza albanese, poi la laurea honoris causa e ieri la massima onorificenza, simile al nostro cavalierato. Ci hanno accolto primo ministro  e presidente della Repubblica. I nostri nomi saranno scritti su una targa del nuovo stadio di Tirana. Ti rendi conto di avere alle spalle un popolo».

È una vittoria che vale per tutta l’Albania?
«È un esempio per i giovani che possono imparare a lottare con tenacia senza abbattersi. L’Albania è uscita da decenni di isolazionismo assoluto. Partecipare alla fase finale di un Europeo di calcio è una forma di apertura all’ esterno importantissima. Il premier Rama ha detto che la classe politica deve imparare a fare squadra dalla Nazionale di calcio».

Quale immagine le resterà nel cuore dopo i festeggiamenti?
«Per strada molte persone mi salutano portandosi la mano destra sul cuore e dicendo “rispetto”. Mi chiamano “professore”. Mi commuove e mi dà una carica della miseria

Le era mai capitata una cosa simile?
«Poco fa ho mandato un messaggio a Urbano Cairo, mio ex presidente al Torino. Gli ho detto che mi sembra di rivivere il clima della promozione in Serie A nel 2006 al play-off col Mantova. Ma lì avevo alle spalle solo la gente granata. Qui un intero popolo che oltretutto
è sparso ovunque a  causa dell’emigrazione di massa. Giochiamo sempre in casa».
Sarà una spinta in più all’Europeo?
«Passare il girone sarebbe  un traguardo eccezionale. Ma aspettiamo il sorteggio. Non facciamo voli di fantasia. Di certo non andiamo in Francia in viaggio premio».

Su cosa ha dovuto lavorare in questi anni?
«I calciatori albanesi tendono a rilassarsi dopo aver centrato un obiettivo intermedio. Così rischiano di non raggiungere il traguardo finale. Però hanno dedizione e senso della patria: se bruci una bandiera albanese, ti saltano addosso. Se succede in Italia, ne compriamo un’altra».
In effetti le partite con la Serbia sono state tesissime. «Però al ritorno in Albania tutto è filato liscio. Peccato per la sconfitta. Era la partita delle partite. Ma è stato fondamentale evitare disordini. Eravamo sotto osservazione Uefa. Abbiamo dimostrato che il pubblico albanese non porta rancore ed è degno di entrare in Europa».

Ha criticato chi rideva della Nazionale e adesso festeggia.
«Al mio debutto da Ct, con la Georgia nel 2012, per motivare la squadra ho consegnato una lettera ai giocatori. Avevo scritto che, se mi avessero seguito credendo alla forza dei sogni, avremmo centrato la qualificazione. Era da pazzi dirlo con Portogallo, Serbia e Danimarca nel
girone. Quando la lettera divenne pubblica, vedevo mezzi sorrisi nei dibattiti tv. Ho una memoria da elefante, non dimentico».
È una rivincita su chi non ha creduto in lei in Italia?
«L’unico mio rimpianto è l’Udinese. Non avevo mai allenato così vicino a casa, appena 80 chilometri, eppure non mi sono mai sentito così poco capito. In Italia le grandi squadre scelgono chi ha un nome, indipendentemente da gavetta e competenza. Ma non sono tutti Guardiola. Il Napoli invece ha fatto una scelta intelligente con Sarri, un vero artigiano del calcio».

Quanto si sente albanese?
«Non ho imparato la lingua perché è complicatissima.
L’alfabeto ha 36 lettere, è un mix di albanese, turco e serbo. Mi sento albanese nella misura in cui mi aiuta a far parte di un contesto e dare il meglio di me. Se non vivo le emozioni giuste, non ottengo risultati»..
Come festeggerà?
«Non mi sono ancora fermato un secondo. Oggi ho un altro impegno: un corso di comunicazione a Trieste. Non  voglio perdermelo. Ci vado con mia moglie anche se sono cotto come una pera. Cotto, ma felice».

a cura di Stefano Scacchi per Repubblica